I ragazzi di Marketers Club non potevano certo perdersi l’incontro con uno scatenato Michele Boldrin che è andato in scena l’11 aprile in Aula Magna a San Giobbe. Economista di fama internazionale, docente presso la Washington University in St. Louis e leader di Fare per Fermare il Declino, ha esordito raccontandoci del blog “noiseFromAmeriKa“, nato per dar voce ai nuovi emigranti italiani che l’avevano fondato e che avevano la peculiarità di essere tutti veneti, da cui la pronuncia corretta che sarebbe “no i xé from Amerika”.
Ha ricordato le prime sensazioni di preoccupazione quando, assieme ai primi “matti”, come lui stesso si è definito, che emigravano dall’Italia in cerca di avventure, iniziava ad arrivare la “gente normale e senza propensione al rischio”: era il primo campanello d’allarme che in Italia ci fosse qualcosa che non andava, come loro stessi avevano intuito anni prima decidendo di abbandonare il campo. Negli anni la fuga dei cervelli dallo Stivale si è pesantemente accentuata. Il problema è che scappano “i migliori” anche se, per fortuna, molti “veri eroi” hanno deciso di rimanere.
Ha esemplificato come questo meccanismo vada ad impoverire il Paese: in un contesto meritocratico i migliori guadagnano in proporzione alle loro performance, per cui chi si sposta all’estero finisce per guadagnare mediamente il doppio o il triplo di chi ricopre la stessa posizione in Italia (che meritocratica non è) ma, soprattutto, finisce per far guadagnare in proporzione anche tutti i suoi collaboratori, cosicché la creazione di valore che viene spostata all’estero assume dimensioni rilevanti.
Le cause del declino italiano sono state attribuite prevalentemente a tre fattori:
- L’irrigidimento di un intero sistema che si era illuso, negli anni Ottanta, di aver trovato un equilibrio ottimale e non ha saputo adeguarsi ad un mondo che cambiava. Traspariva anche dai media un senso di nostalgia per un passato glorioso unito a pessime prospettive per il futuro.
- Il risveglio di miliardi di abitanti nel mondo che desiderano raggiungere lo stesso nostro tenore di vita. Questo fenomeno, oltre che profondamente giusto, è inarrestabile. Solo l’attuale sistema capitalistico consente tale sviluppo: senza di esso nessuno di noi studenti, esclusi i nobili di discendenza, avrebbe potuto sedere in quell’aula. Il meccanismo che l’Italia non ha capito è che il capitalismo crea benessere per tutti nel momento in cui ci sono beni da scambiare e molte nostre imprese dovrebbero trovare il coraggio di affrontare la sfida globale.
- La crisi finanziaria che è dovuta alla fine dello stato keynesiano con la deregolazione dei mercati e le nuove politiche delle banche centrali. In particolare vi è, alla base delle politiche degli Stati, quello Italiano in primis, un enorme errore di valutazione nel ritenere che un aumento di spesa pubblica sia in grado di generare un aumento del PIL tale da portare extra gettiti fiscali che consentano di ripagare il debito pubblico usato per finanziare la spesa stessa. Questo, empiricamente, non si è mai verificato e i macroeconomisti farebbero meglio a prenderne atto.
Stuzzicato dal pubblico non ha risparmiato parole forti su Latouche, sostenitore dell’allegra decrescita: “Cerchiamo di non confondere le persone serie con i buffoni.” In effetti chiunque oggi sembra potersi forgiare del titolo di economista. Ha dato, inoltre, un’idea molto pratica dello scenario disastroso che probabilmente accompagnerebbe l’uscita dell’Italia dall’Euro di cui molti parlano.
Ha poi osservato un altro problema fondamentale del nostro Paese ed, in particolare, del dibattito pubblico: non si parla mai di cose serie. In questo trova chi scrive in totale accordo. Mentre in TV si parla di escort, Genitore 1 e Genitore 2, l’attenzione si sposta dalla piaga italiana: la meritocrazia che viene continuamente calpestata. Mentre si taglia l’IRPEF anziché l’IRAP sperando di far ripartire una domanda interna di beni esteri, aumentando il reddito di chi ce l’ha senza pensare a chi l’ha perso, le imprese falliscono perché non riescono a versare gli acconti vergognosamente superiori al 100% sulla base dell’anno precedente per imposte su redditi che, data la crisi, difficilmente mai vedranno.
Dopo un paio d’ore di analisi e dibattito molto interessanti, più di qualche Marketer, speranzoso di passare dai problemi alle soluzioni, ha sollevato una questione importante: “noi cosa possiamo fare?”
La risposta ci deve far prendere atto del nostro ruolo e delle nostre responsabilità: “Sono concetti difficili, ma voi siete tutti economisti: li dovete capire e spiegare. Dovete parlare con la gente.”
Dobbiamo innescare un processo di rinnovamento culturale che, in Italia, manca, magari con più pazienza ed eloquenza di quelle che lo stesso Boldrin è solito mostrare. Se non noi, chi altri?
Diversamente possiamo sempre emigrare.